Questo dramma ha come antecedente un accurato lavoro di studio sul «Riccardo III» di Shakespeare. La compagnia teatrale QU.EM. quintelemento di Cremona lo ha affrontato, approfondito, analizzato. Alla fine, ha deciso di concentrarsi su un aspetto specifico dell’opera, anche per la straordinaria attualità delle sue tematiche: la problematicità dell’uomo Riccardo nel suo rapporto con gli altri... perchè, in fondo, rispetto ad alcune figure-chiave della sua vita, i punti focali, per noi, oggi, sono esattamente gli stessi: l’amore, l’amicizia, i conflitti interpersonali, il rapporto con sé stessi.
In questo percorso sotto traccia, dal testo originale di Shakespeare è nata un'opera video-teatrale, «Io…Riccardo III»; e da essa ne è nata un’altra, su coordinate completamente diverse, vale a dire «L’atomo di cesio 133 ovvero L’ininfluenza di chiamarsi Riccardo». Per il primo lavoro sono stati costruiti quattro quadri, per una serie di altrettanti cortometraggi, ma realizzati senza alcuna rielaborazione in post-produzione. Essi riproducono il testo shakespeariano in modo sostanzialmente letterale (tranne un minimo di adattamento), per la precisa volontà di confrontarsi con quel testo, difficile da far proprio, difficile da imparare, ma necessario per capirne il sottotesto. “«Io…Riccardo III» è quindi incentrato sulla figura di Riccardo di Gloucester nel suo rapporto con Lady Anne, con il Duca di Buckingham, con il Conte di Richmond, e con sé stesso: in sostanza, con le sue contraddizioni e le sue paure. Di questo rifacimento, viene proposto in appendice il testo completo, cioè la traduzione, l’adattamento e la rielaborazione delle scene.
Nel secondo lavoro, il punto di vista - pur partendo dall’interiorità di un personaggio che è diventato una metafora di noi stessi - si è spostato al di fuori di noi, al teatro in quanto tale, attraverso riflessioni di ampio respiro sul significato dell’arte. Gli estratti di alcune parti video di «Io…Riccardo III» sono diventate una sorta di fondale della vita quotidiana dei protagonisti (due attori e una regista, impegnati appunto nelle prove di questo copione), in parte come fossero un ricordo, in parte come fossero un flusso di emozioni. Ciò che accade nella ‘finzione’ finisce col diventare vero, reale, nel qui e ora del palcoscenico.
Una domanda, però, sorge spontanea, tanto assillante quanto scomoda: quando tutto ciò è propriamente reale e vero? E quando invece è recitato? Quando, nella vita di tutti giorni, accade questo o quello? E allargando il campo visuale, più nello specifico: il teatro che ruolo ha, oggi, negli anni Duemila?
Ovviamente non c’è mai una risposta in assoluto, e meno che mai in questo dramma; ma c’è il vissuto di un’esperienza, e l’apertura a farsi delle domande, a mettersi in discussione, a chiedersi perché ci sono ancora persone disposte, in un’epoca iper-tecnologica, a “fare teatro”… Ed anche qui, ancora una volta, con una domanda fondamentale molto irriverente: con quale scopo? Cioè, in fondo, per fare cosa?
Il testo scorre proponendo un’elegante corsa attraverso citazioni filosofiche, scientifiche, teatrali, letterarie, storiche, che apparentemente (o forse no!) confondono le acque, per quanto s’incastrino nel filo rosso di una sotterranea razionalità… che necessariamente si perde, nel tentativo di dare ordine a queste parole. I piani si confondono, nella costante ricerca di cambi di dimensione, anche in questo caso contaminando la realtà con la finzione: tutto, però, incardinato contemporaneamente in un unico piano esperienziale, dove non è più chiara la dimensione di riferimento, neppure per chi recita. In definitiva, non è questo un testo da capire o per capire… ma, nella nostra intenzione, vorremmo che fosse un testo da respirare… soprattutto con l’anima.
(dall'introduzione di Francesca Rizzi, regista)
